domenica 26 aprile 2009
Permesso di soggiorno: missione impossibile
di Italo Mastrangeli
(apparso su Famiglia Musulmana di marzo)
Roma – “E io pago!” diceva, dilatando la lettera a, il grande Totò. Un’esclamazione che i circa quattro milioni di immigrati regolari presenti in Italia avranno quantomeno pensato ogniqualvolta si sono recati allo ‘Sportello Amico” per versare i 72,12 euro necessari per inoltrare la domanda di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno elettronico (pse). Una tassa che presto potrebbe salire fino a 200 euro, per un servizio scadente. Forse, il peggiore d’Europa.
Già, perché rinnovare il permesso di soggiorno è un percorso a ostacoli. Quando va bene i tempi d’attesa possono variare da quattro a sei mesi, ma fornire un dato preciso è impossibile vista la mole di richieste che ogni anno intasano le questure italiane e che solo nel 2008 sono state più di un milione. Quando va male, però, una cosa è certa: il tuo caso diventa patologico e ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno si trasforma in odissea. E dire che di quel permesso un immigrato non può fare a meno. Infatti, con la ricevuta delle Poste non si hanno gli stessi diritti di chi il permesso valido ce l’ha in tasca, nonostante così stabilisca una direttiva del 2006 del Ministero dell’Interno. Certo, con la ricevuta o il permesso scaduto ci si può iscrivere al Servizio sanitario nazionale (presentando la busta paga o facendo un’autocertificazione) e si possono, anzi, si devono pagare le tasse. Ma non si può espatriare, a meno che non si decida di tornare al paese d’origine senza passare per l’Europa di Schengen. E soprattutto non si può essere assunti, altrimenti, nel caso in cui la richiesta venga bocciata, ecco che il datore di lavoro rischia una denuncia penale solo perché ha creduto che di lì a poco il permesso ti sarebbe arrivato.
Nonostante l’importanza di avere un permesso valido, nel Bel Paese si continua a fare finta che il problema non esista. “Abbiamo testimonianza di persone – ha detto a Famiglia Musulmana Oliviero Forti, responsabile immigrazione Caritas italiana - che vanno a ritirare il permesso che è già scaduto e così si trovano costretti a istruire una nuova pratica, quando secondo la legge (Testo Unico dell’Immigrazione 286/98, ndr) il permesso dovrebbe essere rilasciato, rinnovato o convertito entro qualche settimana dalla presentazione della domanda”. Colpa della carenza di personale e di un sistema farraginoso, elefantiaco, che dall’11 dicembre 2006, giorno dell’entrata in vigore della convenzione tra Poste italiane, Viminale e Poligrafico di Stato, non ha fatto altro che allungare i tempi di rilascio. “E pensare – ha aggiunto Forti – che Poste italiane si era impegnata a istruire la pratica proprio per accorciare i tempi. Una convenzione firmata per il basso numero di personale delle questure che, invece, ha finito per creare un ulteriore passaggio burocratico che di fatto ha prolungato i tempi e aggravato i costi”.
La spesa per ogni immigrato che fa domanda per il permesso di soggiorno è di 72,12 euro, ma presto potrebbe lievitare fino a 200 euro, come previsto dal disegno di legge 733 sulla sicurezza approvato nei giorni scorsi in Senato e ora in discussione alla Camera. “La Caritas italiana è decisamente contraria al provvedimento – ha assicurato Oliviero Forti – perché questi soldi non verranno utilizzati per snellire le pratiche ma saranno destinati in un apposito fondo per i rimpatri. Molti immigrati che vengono qui alla Caritas – ha aggiunto - ci hanno detto che loro sarebbero ben felici di pagare di più, ma per un sevizio migliore, con tempi certi e rapidi”. Punta il dito contro la Lega Nord, invece, Giuseppe Casucci, responsabile Uil-Immigrazione. “Riteniamo – ha detto Casucci a Famiglia Musulmana - che questo provvedimento sia la conseguenza della politica della Lega, volta a fare terra bruciata nei confronti di tutta l’immigrazione, regolare e non. Inoltre, beffa delle beffe, il maggiore esborso finirà in un fondo per i rimpatri. In Inghilterra, Spagna e Francia i costi sono come i nostri attuali (70-80 euro) ma per un servizio erogato in tempi certi. Pagare di più come si vuol fare per qualcosa di pessimo non è degno di un paese civile”.
Roba da “Ai confini della realtà”: pagare 200 euro un permesso di soggiorno che arriva sempre oltre il limite di venti giorni previsto dalla legge quando in Germania basta un giorno per averlo, come ha raccontato una ragazza senegalese alla trasmissione tv ‘Presa Diretta’ in onda su Rai Tre. Del resto è assurdo che in alcuni casi, come accaduto a tanti che hanno fatto richiesta di un permesso ‘per attesa occupazione’ che dura solo sei mesi, il pse ti arrivi già bello che scaduto. Insomma, non fai in tempo a stringere in mano quel tesserino azzurrognolo con la tua foto stampata sulla sinistra e il micro cip con tutti i tuoi dati e le impronte digitali che riluce sulla destra, che devi già istruire una nuova pratica e sborsare di nuovo 72,12 euro. E meno male che “la validità del permesso decorre dal momento in cui la richiesta viene inviata dalla Questura al Poligrafico per la stampa”, come ha spiegato a Famiglia Musulmana l’Ufficio immigrazione della Questura di Roma, e non dal momento della presentazione della domanda alla Posta, né dalla data di scadenza del vecchio permesso, altrimenti di permessi che arrivano prima del termine non ne rimarrebbero granché. Dati recenti del Ministero dell’Interno dicono, tra l’altro, che ci sono circa un milione di pratiche incagliate tra un ufficio e un altro. “Ci sono oltre un milione di pratiche ancora in attesa di disbrigo su 2 milioni e 400mila domande presentate dal dicembre 2006 – ha detto Giuseppe Casucci della Uil - cioè da quando il Ministero dell’Interno si è avvalso della collaborazione di Poste italiane. E’ un sistema farraginoso, e all’inizio del 2007 le cose andavano anche peggio. Oltre alle Poste poi, il permesso deve anche passare per il Poligrafico che lo stampa e ciò allunga di altri 3 mesi la procedura”. Per accorciare i tempi d’attesa potrebbe allora essere utile rinunciare al pse e tornare al vecchio permesso cartaceo. Infatti, il Poligrafico di Stato è l’unico ente preposto alla stampa ed è lì, e solo lì, che arrivano da tutta Italia oltre un milione di kit all’anno (kit contenente la modulistica, la copia dei documenti, le impronte digitali, eccetera). Per ogni pratica il Poligrafico rilascia un pse ogni 72 giorni in media. Togliere questo passaggio significherebbe ridurre di due o tre mesi l’attesa e contrarre le spese, visto che la convenzione col Poligrafico ha un costo che sono gli stessi immigrati a sostenere.
Ad ogni modo, che le cose non filassero per il loro verso lo si sapeva fin dai primi mesi del 2007. Basti pensare che nel maggio di quell’anno, a fronte di 560 mila domande presentate, i permessi di soggiorno elettronici in lavorazione erano solo 31.500, cioè il 2,3%. Pare per colpa di un software che non era in grado di leggere i moduli. Voci di corridoio. Comunque, non era solo questo il problema. Già nel marzo 2007 la Caritas denunciava in un comunicato stampa: la complessità della modulistica e le relative difficoltà nella compilazione; la frequente indisponibilità degli appositi moduli che aveva alimentato una sorta di bagarinaggio; e, infine, la lentezza del servizio di Poste italiane. Per questo l’allora ministro Giuliano Amato decise di avviare (il 5 febbraio 2007) una sperimentazione della durata di tre anni coinvolgendo 223 comuni (tra cui Firenze, Padova, Lecce, Ancona, Provincia di Trento, eccetera), con lo scopo di sostituire Poste italiane e avviare una proficua collaborazione tra enti locali e questure. Insomma: si trattava di trasferire le competenze per il rilascio dei permessi alla pubblica amministrazione, esattamente come avviene in tutta Europa a eccezione di Grecia e Portogallo. Col cambio di governo di questa sperimentazione non si parla più, ma sappiamo che sta proseguendo. I risultati si conosceranno solo nel 2010, al termine dei tre anni previsti.
Al permesso di soggiorno a punti l’attuale governo vorrebbe invece affidare il percorso d’integrazione dello straniero, come previsto dal disegno di legge 733 sulla sicurezza. Come per la patente a punti, chi sbaglia perde crediti. Una volta esauriti, il permesso viene ritirato e lo straniero da regolare diventa irregolare. Clandestino. E si badi bene: tutta la nuova politica d’integrazione dovrebbe basarsi su questo strumento, visto che è stato praticamente azzerato il Fondo per l’integrazione. “Il permesso a punti – ha detto Oliviero Forti della Caritas italiana - è parte della ‘politica spot’ del governo, che non produce alcun risultato concreto sul piano dell’integrazione, che manca di organicità. Gli immigrati regolari – ha proseguito - hanno un tasso di delinquenza pari o inferiore agli italiani, dunque non si capisce a che, o a chi, servano questi punti. Il percorso d’integrazione non può essere ridotto a una mera questione di crediti. Il governo ha tagliato 100 milioni di euro dal Fondo per l’integrazione, che ora è di soli 5 milioni, una cifra che forse basterebbero per due quartieri di Roma. Tanto per fare un paragone con altri Paesi europei, in Germania il fondo è di 700 milioni e in Francia di 200-300 milioni. Noi della Caritas – ha concluso Forti - siamo convinti che bisogna facilitare le persone ad avere il permesso di soggiorno e non creare loro degli ostacoli, perché solo chi è irregolare è, di solito, colui che delinque”. E i dati Istat 2008 confermano questa tendenza. L’immigrato regolare commette reati nella stessa misura degli italiani, mentre l’irregolare è in tutte le tipologie di reato sempre colui che delinque di più. Negli omicidi ad esempio (periodo di riferimento 2004-2006) un denunciato su tre è straniero e la quota di irregolari sfiora il 72%. Come dire insomma che non è lo ‘straniero che delinque’ ma è la condizione di clandestinità che fagocita il crimine.
Di fronte alla crisi economica mondiale che annuncia una nuova Grande Depressione, centinaia di migliaia di immigrati regolari potrebbero perdere il loro lavoro e in breve tempo diventare clandestini. Una situazione che rischia di creare nuove conflittualità e acuire la tensione sociale. Un nuovo viaggio al termine della notte.
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