venerdì 1 maggio 2009

Treviso: immigrati sotto pressione


di Italo Mastrangeli (da Famiglia Musulmana di aprile)

Treviso - Mentre l’acqua dei buranelli e dei canali che attraversano il centro di Treviso scorre lenta, in città e provincia un disoccupato ogni tre iscritti ai centri per l'impiego è straniero.

Trovare un nuovo lavoro non è mai stato tanto difficile, nonostante il tasso di disoccupazione qui sia tra i più bassi d’Italia (4,5%). Con la crisi, le piccole e medie imprese, cuore del Nord Est, hanno sempre meno commesse, l’export è in picchiata tranne che verso i paesi dell’Est Europa che continuano a importare (più 20% nel 2008). E così, se sono poche le aziende nella Marca trevigiana che hanno chiuso i battenti, quelle che resistono non assumono oppure non rinnovano i contratti in scadenza. Come al solito chi rischia di più sono i lavoratori immigrati, in maggioranza con un contratto a termine. Se invece, come ha raccontato Fabrizio Gatti su L’espresso, in provincia un imprenditore preferisce lasciare a casa le operaie venete e tenersi le romene che costano meno, queste ultime vengono accusate di rubare il lavoro alle italiane.

Intanto, le mense dei poveri si riempiono. In un anno il numero dei pasti serviti dalla Caritas di Treviso è quasi raddoppiato - da 2.098 del 2007 a 3.866 del 2008. L’80% di chi ne usufruisce è cittadino straniero. Come Alfa, 25 anni arrivato due anni fa in Italia dalla Guinea. Il primo anno ha lavorato in nero in un allevamento nei dintorni di Parma. “Dormivo in una stanza- dice- con altre sette persone per 150 euro al mese. Appena ho potuto sono venuto in Veneto dove mi dicevano si stesse meglio”. Arrivato a Treviso ha pensato di avere trovato l’America. Un lavoro da magazziniere, un’accogliente cameretta tutta per sé a 200 euro al mese e la ditta che dopo poco avvia le pratiche per la regolarizzazione. Trattato con i guanti. Poi la brusca discesa. “Un mese fa il datore di lavoro- spiega Alfa- mi ha detto che l’azienda è in difficoltà, di stare a casa qualche settimana in attesa che la situazione cambi”. Ma è già passato un mese e Alfa non s’illude più. Del resto, sa che la crisi economica sarà lunga e il 2009 l’anno peggiore. “Pensavo che qui avrei messo radici- dice- che ci avrei portato la mia famiglia. La realtà invece è che rischio di dovermene tornare io da loro. Dopo tutti gli sforzi che hanno fatto per mandarmi qui”. Alfa ritrova il sorriso solo quando incontra i suoi amici ai giardinetti pubblici dietro l’università. Sono una dozzina, tutti maschi provenienti dall’Africa sub sahariana come lui, e come lui in attesa d’occupazione. Si ritrovano spesso lì perché, dicono, sono l’unico posto dove ci sono ancora panchine. Le altre, lo ‘sceriffo’ Giancarlo Gentilini, il prosindaco di Treviso rinviato a giudizio per istigazione all’odio razziale, le ha fatte rimuovere tutte quante.

All’ora di pranzo o prima di cena alcuni immigrati disoccupati si possono trovare nelle kebaberie, negli internet point o nei bar intorno alla stazione. Tra questi c’è Abed (il nome è di fantasia), un magrebino di 40-45 anni vestito in modo semplice ma dignitoso. Solo il giornale che porta sottobraccio è un po’ stropicciato come se non lo mollasse da ore. Al bancone del bar chiede un bicchier d’acqua che manda giù d’un fiato. Sono ore che cammina per la città. “Niente da fare, lavoro proprio non ce n’è- dice- È una cosa incredibile, mai vista!”. Pronuncia queste due frasi in buon italiano, segno che è nel Bel Paese da tempo.

Sono le persone come Abed che una volta perso il lavoro finiranno nella situazione peggiore. Costrette a spiegare al coniuge e ai figli cresciuti qui, e che probabilmente parlano solo l’italiano, che devono tornarsene al paese d’origine. Senza una pensione, visto che non c’è stato il tempo di farla maturare. A loro, la Provincia di Treviso non ha accordato la una tantum da mille euro per le famiglie ‘vittima’ della congiuntura economica varata all’inizio d’aprile, perché riservata solo ai cittadini italiani e agli stranieri in possesso della carta di soggiorno CE. Non è tanto denaro, certo, ma avrebbe fatto brodo. Soprattutto quando c’è da pagare l’affitto o le rate dell’auto. Gli immigrati come Abed hanno solo sei mesi di tempo per trovare un nuovo lavoro. Così dice la Bossi-Fini. Dopodiché dovranno rimpatriare oppure vivere da irregolari. Alla mercé degli squali che sfruttano il lavoro nero.

Nessun commento:

Posta un commento